Raffaele Corso (Nicotera, 8 febbraio 1885 – Napoli, 9 luglio 1965) è stato un etnografo e antropologo italiano.
Figlio di Diego e di Teresa Stilo, (il padre era medico e appassionato di storia e archeologia e aveva frequenti rapporti di studio con lo storico M. Amari), Raffaele Corso si trasferì a Napoli per frequentare la facoltà di Giurisprudenza; qui, mentre preparava la tesi di laurea, fece la conoscenza di Benedetto Croce e, attraverso lui, di Giuseppe Pitrè che di Corso fu maestro. Nel 1906 Corso si laureò discutendo la tesi Proverbi giuridici italiani, pubblicata nell’Archivio delle tradizioni popolari (XXIII [1907], pp. 484-506), nella quale analizzava le forme elementari e popolari del diritto, l’origine del proverbio e la sua istituzionalizzazione in norma giuridica.
Dopo la laurea mantenne intensi rapporti epistolari con il Pitré e alla morte di quest’ultimo gli venne proposto sostituirlo per ricoprire la cattedra di demopsicologia all’università di Palermo.
Nel 1923 diede alle stampe la sua opera principale Folklore- Storia-Obietto-Metodo che venne edita con grandi riscontri in Italia e all’estero. Il volume nasceva dall’esigenza di stabilire un approccio rigoroso a questa disciplina, determinandone i principi fondamentali sia concettualmente sia metodologicamente, con l’intento di precisare l’oggetto e la peculiarità del folklore rispetto ad altre discipline quali l’antropologia, la sociologia, la psicologia, ecc., che assumevano allora carattere scientifico, e il suo rapporto con l’emografia. Corso analizza il nome “folklore” con cui, nel 1846, si decise di indicare lo studio delle tradizioni e delle consuetudini di vita del popolo, che, in Italia, G. Pitrè diffuse con il nome, di origine greca, di demopsicologia.
A suo parere l’etimologia del nome è sufficiente a stabilire il rapporto esistente tra il folklore, che studia il patrimonio culturale di quella parte del popolo che, nell’ambito della società evoIuta, conserva residui di cultura anteriori, primitive, e l’etnografia, che studia i popoli e le forme di organizzazione sociali, culturali che si sono dati; secondo il Corso i nuclei plebei e rustici sono depositari di forme primordiali e primitive di civiltà che l’uomo urbano ha invece totalmente modificato. L’oggetto del folklore sarebbe dunque quello di ricercare nell’ambito della vita quotidiana del popolo minuto quelle forme di civiltà remote e primitive ormai scomparse negli altri strati della società evoluta. È, quindi, il concetto di sopravvivenza che informa lo studio dei pregiudizi, delle cerimonie, delle leggende, ecc., dell’età passata, che continuano ad esistere e ad avere il loro peso per alcune componenti della società civile. Il folklore è, secondo il Corso, una branca particolare dell’emografia, è una etnografia del volgo ed ha per oggetto una preistoria contemporanea.
Antonio Gramsci criticò piuttosto duramente questa definizione poiché riteneva troppo riduttiva per un fenomeno tanto complesso, frammentario e contraddittorio, e sottolineò e la difficoltà di fare la storia delle influenze che ogni area ha avuto insistendo sul carattere di maggiore mobilità del folklore rispetto alla lingua e ai dialetti; la seconda parte del volume del Corso illustra il metodo da adottare nello studio del folklore. Le fasi iniziali sono due: la prima comprende la semplice raccolta del materiale, quindi succede la schedatura secondo criteri geografici (regionali, nazionali) e cronologici. Queste prime classificazioni entrano nell’ambito del folklore; se poi la tradizione, o un’altra manifestazione presa in esame, si estende ai popoli senza distinzione di tempo e di luogo si può definire etnografia generale. Il metodo da adottare è quello comparativo, che permette di stabilire gli elementi primordiali presenti in una particolare manifestazione di vita popolare, confrontarla con le altre determinando gli elementi comuni e quelli divergenti ed, eventualmente, il carattere generale di una tradizione che mantiene la sua specificità esulando dalle contingenze geografiche e storiche.
Tra le altre cose Raffaele Corso collaborò con L. Loria nella ricerca di materiale etnografico per l’istituzione di un museo nazionale; catalogò anche la collezione etnografica della villa d’Este a Tivoli. Conobbe G. D’Annunzio col quale progettò, senza realizzarli, la fondazione di una rivista, Le tradizioni popolari italiane, e di una società delle tradizioni popolari italiane. Dal 1914 al ’21 insegnò, primo in Italia, etnografia all’istituto di Antropologia dell’Università di Roma. Successe poi a L. Loria nella direzione del Museo etnografico di Roma e nel ’22 fu chiamato a ricoprire la cattedra di etnografia all’Istituto Orientale di Napoli, dove insegnò fino al raggiungimento del limite di età. Si interessò di etnologia africana e fu inviato dal ministero della Pubblica Istruzione e dall’Istituto orientale in Africa, a Fezzan, per studiare i costumi di vita dei Tuareg.
Sotto il fascismo questi studi ricevettero notevole impulso, e il Corso, sostenendo la politica coloniale del regime, pubblicò una serie di studi sulle abitudini e le tradizioni degli Etiopi e dei Somali (quali Genti, usi costumi e tradizioni dell’Etiopia e Genti, usi, costumi e tradizioni della Somalia, in L’Impero coloniale fascista, Novara 1937, pp. 151-189 e 321-337). Collaborò a numerose associazioni culturali italiane ed estere ed a molte riviste di etnografia e di folklore.
Nel 1925 fondò la rivista Il Folklore italiano, Archivio per la raccolta e lo studio delle tradizioni popolari italiane, che interruppe le pubblicazioni nel 1941, per riprenderle quindi dal ’46 al ’55 con il titolo di Folklore. La rivista voleva essere uno strumento di coordinamento delle varie ricerche a carattere regionale e di valorizzazione delle testimonianze folkloristiche.
Durante il fascismo l’attività del Corso fu particolarmente intensa; importante ricordare la polemica col titolare della cattedra di etnografia all’università di Leningrado, E. Kagaroff, che accusava gli studiosi di etnografia in Italia e in Germania di esaltare il concetto di razza e di nazione in campo etnico e di privilegiare il periodo imperiale e il mito della romanità in campo politico; a queste accuse Corso rispose sottolineando il ruolo che il fascismo aveva avuto, con l’esperienza coloniale, nella diffusione degli studi folkloristici e dichiarandosi sostenitore del fascismo quale espressione della nuova Italia (Critiche sovietiche allo studio dell’emografia nell’Italia fascista, Roma 1938).
Tra le altre opere ricordiamo ancora: L’arte dei pastori, Roma 1920; Reviscenze, Catania 1927; Gli studi delle tradizioni popolari nel clima fascista, ibid. 1939; Etnografia-Prolegomeni, Napoli 1941; Africa, cenni razziali, Roma 1941; Aspetti di vita africana, Napoli 1943; I popoli dell’Europa. Usi e costumi, ibid. 1948; Studi africani, ibid. 1950.
Morì a Napoli il 29 luglio 1965.